Con la sentenza n. 25940 del 13.02.2017 la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha stabilito che risponde del reato di stalking chi ossessiona la propria vittima anche mediante reiterate e costanti intrusioni nel suo profilo Facebook, essendo in tal caso sussistente il nesso causale tra la propria condotta e lo stato di ansia della vittima, costretta a cambiare le proprie abitudini di vita.
Nel caso di specie, il ricorrente si era rivolto ai Giudici di legittimità affermando che detto nesso causale difettasse ma il Supremo Collegio - dichiarando inammissibile il ricorso - ha ribadito che il principio secondo cui il reato di stalking ha natura abituale, e l'evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso e la reiterazione degli atti tipici costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie facendo assumere a tali atti un'autonoma e unitaria offensività, in quanto è proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che infine degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme prescritte dalla norma incriminatrice.
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