Seconda parte, artt. 40 e 41
Parlando della “censura”, come si evince dalla formulazione dell’articolo, si comprende, con molta facilità, che essa è poco più di un rimprovero verbale. Si basa sulla venuta ad esistenza a carico del lavoratore di circostanze trattabili a fini disciplinari di lieve entità. Ma l’esame di tale istituto impone una immediata riflessione. In precedenza abbiamo detto che l’intero regio decreto è stato redatto, adottato ed ha esplicato i propri effetti, durante un periodo dove in Italia vigeva un regime autoritario, per cui sarebbe lecito credere che la norma in commento sia uno strumento vessatorio e repressivo nei confronti del lavorate, ad uso e consumo del “padrone” – id est datore di lavoro. Tale ipotesi è destituita di qualsiasi fondamento, in quanto, sin dall’entrata in vigore della normativa in commento, il lavoratore aveva diritto a giustificarsi, come precisato nell’art. 51. Non solo, il lavoratore destinatario di una “censura”, come evidenzia l’art. 50, non incorreva nella recidiva, qualora fosse stato destinatario di un’ulteriore “contestazione”.
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