Prendendo spunto da una mostra tenutasi a Parigi nel 2015 – “Japon, l’archipel de la maison” curata da Veronique Hours, Fabien Maduit, Jeremie Souteyrat e Manuel Tardits – in un momento in cui la cultura giapponese, in tutte le sue declinazioni, sembra essere un riferimento, vorrei proporre alcune mie considerazioni.
L’essenzialità e la “provvisorietà” della casa giapponese, che in genere è destinata a durare un tempo relativamente breve, tra i 25 e i 30 anni, si discosta moltissimo da quella che è invece la nostra concezione sia nella dimensione che nella ricchezza di decorazioni e dettagli oltre che nella previsione di durata.
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